martedì 15 novembre 2022

EMPOLI IS A GAS(SIFICATOR)!

 Quelle vecchie volpi del PD hanno avuto una delle loro trovate: costruire un pirogassificatore a Empoli, uno dei loro storici feudi, confidando nel fatto che le proteste sarebbero state minime. Ad ogni modo, per non rischiare, hanno sottaciuto la cosa il più a lungo possibile, con la complicità della stampa locale. (Sabato scorso il Tirreno ha dedicato una pagina all'argomento, mettendo in risalto prevalentemente l'area verde che sorgerà intorno al gassificatore, la gabbia green che dovrà nascondere l'eco-mostro)
A riprova della ristretta lungimiranza delle istituzioni, le proteste invece si sono levate. In città se ne parla e, seppure con diversi approcci e per diversi motivi, la maggioranza delle persone è decisamente contraria. All'orizzonte si profila l'inizio di una lotta lunga e difficile, che potrebbe cambiare in modo decisivo gli equilibri politici locali. Ci sono tutti gli ingredienti: l'ambiente, i profitti delle multinazionali, il malgoverno, il comitato scientifico, c'è persino l'archistar (cit. Tirreno), situazioni che a Empoli ce le sognavamo.
Sia chiaro fin da subito: questa lotta non porterà ad un miglioramento delle nostre condizioni di vita: bene che vada le lascerà invariate. Allo stesso tempo siamo costretti a lottare, non possiamo fare altrimenti, non si può rimanere neutrali.
Quello che questa lotta potrebbe portare con sé è una maggiore consapevolezza della condizione in cui ci troviamo a vivere, a patto di non farsi influenzare dalla sindrome NIMBY ("Non nel mio giardino!") e considerare la costruzione del gassificatore come l'ennesimo errore di valutazione di questo sistema iniquo e inquinante.
Iniquo perchè la costruzione di questo impianto sarà finanziata con soldi pubblici, ma i profitti saranno privati: è il modus operandi del neoliberismo in questi casi, privatizzare i profitti, collettivizzare le perdite.
Inquinante perchè, oltre all'impatto che avrà sul territorio (desertificazione, esagerato consumo di acqua, aumento del traffico dei TIR con drammatiche ricadute su una già intasata viabilità, ecc..), si potrebbe, prima di bruciare la plastica, provare a produrne e consumarne meno, per esempio. Siamo convinti che con quattrocento milioni di euro si potrebbe trovare una soluzione migliore di un inceneritore.  
I dati tecnici e le valutazioni scientifiche dovrebbero interessarci fino ad un certo punto: il problema non è il metodo con il quale viene costruito questo impianto, ma la visione del mondo dalla quale scaturisce l'idea di costruirlo. Una visione che prevede soltanto l'accumulazione dei profitti e lo sfruttamento indiscriminato delle risorse e degli esseri viventi a beneficio di una ristretta élite di privilegiati.
Qualcuno ha detto, ormai trent'anni fa, che "è più facile immaginarsi la fine del mondo che la fine del capitalismo", ed è purtroppo vero ancora oggi. Quello che dovremmo fare è iniziare ad immaginare un futuro diverso dalla fine del mondo, ripensare il modo in cui sfruttiamo le risorse, i nostri consumi, il nostro quotidiano tiranneggiato dal lavoro o dall'assenza di lavoro che ci fa vivere nell'ansia e nella depressione. Non esiste una ricetta per questo, dovremo procedere per tentativi, sarà un percorso lungo e tortuoso ma, di nuovo, non abbiamo scelta, l'alternativa è continuare a fare questa vita di merda e riporre fede nella speranza, che è solo un altro modo per illudersi e deprimersi.
Un'ultima cosa: evitiamo fin da subito di etichettare questa lotta come pacifica, apolitica, non violenta o altri epiteti cari alla retorica del manifestante educato. Questo atteggiamento ci pone immediatamente in una posizione di deferenza e ci rende automaticamente più deboli della controparte. Che ci piaccia o meno, la questione è politica perchè prevede lo scontro di due interessi contrapposti, e avremo bisogno di tutti i mezzi a nostra disposizione per affrontarla.




                                                  Co.Co.L.E.
                                 Comitato Contro L'Entusiasmo


 


venerdì 8 gennaio 2021

LA RIVINCITA DEL "WHITE TRASH"

LA RIVINCITA DEL "WHITE TRASH"



L'"assalto" di Capitol Hill ha prodotto eccitazione nello stagnante ambiente, ulteriormente assopito dai vari confinamenti pandemici, della (si può dire ex?) sinistra di movimento, ormai atomizzata in una miriade di profili social che per la maggior parte non hanno altri contatti tra di loro se non tramite impulsi elettronici.
A scorrere i commenti si coglie ancora il vecchio vizio, divenuto automatico e per questo ancora più dannoso, di ostentare una presunta superiorità morale e culturale nei confronti di queste espressioni "primitive e impolitiche" di dissenso. Nella società statunitense questa spocchia è stata una delle cause del coagularsi di quella folla che si è ritrovata di fronte al Campidoglio; la supponenza liberal verso gli zotici dei sobborghi e delle campagne è stata uno degli articoli d'esportazione che l'american way of life ha sfoggiato nel processo di colonizzazione culturale dell'occidente.
In Italia questa tendenza, iniziata negli anni ottanta, ha raggiunto il suo culmine nel primo decennio di questo secolo, diffondendosi con varie sfumature negli ambienti di sinistra, determinando la scollatura tra un'élite acculturata, che produceva discorsi principalmente autoreferenziali, e un largo strato proletario che aveva minore accesso alla cultura e poco tempo per capire quei discorsi.
Ovviamente non è il solo motivo della svolta reazionaria che ha preso la società italiana e occidentale in genere. Probabilmente però è il motivo per il quale la sinistra non ha più nessuna efficacia nella realtà sociale.
Qua in provincia abbiamo qualcosa di simile agli hillbillies americani (ovviamente fatte le debitissime proporzioni): i cacciatori, cioè coloro che praticano l'attività venatoria. Costoro sono un condensato (armato) di sessismo, razzismo, specismo e disprezzo per la natura; la maggior parte di loro sono lavoratori precari delle campagne o delle ultime industrie rimaste. Per fortuna è una categoria residuale e destinata all'estinzione; in questo contesto però è utile come esempio estremo di incompatibilità tra sfruttati. A noi capita spesso di averci a che fare e constatare la siderale distanza tra le istanze sociali che proviamo a portare avanti nel quotidiano ed il loro pragmatismo egoista e la facilità con la quale danno la colpa a chi sta peggio di loro. Questo non toglie la volontà di confronto e di conflitto, alla pari e senza presunzione, e, anche se le posizioni rimangono inconciliabili e distanti, abbiamo notato che riusciamo a rapportarci sulla base di un reciproco rispetto, che alla fine è una base come un'altra sulla quale si potrebbe costruire qualcosa.
La discriminante dell'"intelligenza" con la quale spesso si pensa di riconosce chi è fascista o meno, sta facendo dei danni pesanti. Esistono persone, che il senso comune definirebbe "intelligenti", che sono dei fasci fatti e finiti; al contrario, ne esistono di meravigliose che non hanno avuto il privilegio di studiare per tutta una serie di motivi non dipendenti dalla loro volontà. Con queste ultime rimane uno spazio di dialogo e azione comune, che dovremmo essere scaltri a praticare. Invece di continuare a giudicare come dei preti qualunque.



collettivo antikunst limite sull'arno

 

venerdì 3 aprile 2020

NON STA ANDANDO TUTTO BENE

E' ormai un'evidenza: il cosidetto "lockdown", così come è stato pensato ed agito dal governo di questo paese, è stato un fallimento. Dopo un mese dall'inizio di  questa misura, possiamo affermarlo senza timore di smentita. Il fantomatico "picco" dei decessi non è arrivato, ed è ormai quasi sparito dalla narrazione mainstream  così ansiosa di far ripartire "l'economia". Più verosimilmente assisteremo ad un calo progressivo che forse coinciderà con l'approssimarsi del clima mite e l'arrivo  dell'estate. Il prossimo autunno, se rimarrà questo l'andazzo e i governanti persevereranno nella loro ottusità, saremo punto e a capo, visto che il vaccino è ancora  di là da venire.

In primo luogo, l'aspetto più palese del fallimento si è manifestato dal punto di vista sanitario, il settore più direttamente coinvolto nell'emergenza: misure  approssimative e scollegate, con il personale ospedaliero abbandonato a sè stesso e sprovvisto della necessaria e basilare strumentazione per affrontare e arginare  questa inedita epidemia. Se accettassimo (e, ovviamente, non accettiamo) la metafora guerresca propugnata dalla propaganda istituzionale, questa débacle sanitaria  si potrebbe paragonare alla Campagna di Russia e alle scarpe di cartone di mussoliniana memoria. Non di meno è il risultato di decenni di tagli allo stato sociale, di  privatizzazioni in mano al liberismo più avido e avventato, di un professionismo rivestito di broccato e gioielli che con il loro illusorio luccichio promettevano un  futuro di inesauribile miglioramento materiale. (Prima o poi questi patiti del benessere andranno trattati alla stregua dei tossicodipendenti, riconoscendoli ed  evitandogli di prendere decisioni durante le loro crisi allucinatorie e di astinenza).

Era chiaro fin dall'inizio quale sarebbero state le prerogative, quando il governo dichiarò lo stato di emergenza. Non ne hanno mai fatto mistero: la produzione  doveva andare avanti, avevano previsto qualche effetto collaterale, qualcos'altro doveva essere sacrificato (ed è per queste occasioni che mantengono sempre  qualcosa di sacrificabile, anche nei periodi di bonaccia), ma le grandi aziende, gli amici degli amici, quelli che "mandano avanti il paese" (cioè coloro che sono  riusciti ad inserire degli influencer tra chi ha il potere di decidere) dovevano rimanere aperte, ad ogni costo - e per favore, lasciamo perdere la pelosa distinzione  essenziali-non essenziali, loro non decidono in base a questi obsoleti manicheismi.
La reazione esclusivamente emotiva che è scaturita tra la popolazione al diffondersi del virus non ha fatto altro che rafforzare quelle prerogative e dissipato le  residue remore degli imprenditori più pavidi. Il sacrificio delle classi subalterne è sfumato in secondo piano, è diventato scontato, c'era da difendere l'onore di una  nazione, la sua prosecuzione biologica ed economica.
In poche parole, la classe dirigente, privilegiata, l'élite neoliberista, l'aristocrazia delle rendite, i padroni, insomma, le varie categorie che raccolgono i frutti inquinati  del capitalismo maturo, hanno fatto la loro mossa scontata: chi è dentro ormai è in ballo, è sacrificabile, non può sfuggire. Lo chiameremo "eroe", decanteremo da  tutti i balconi della patria le sue gesta, ricorderemo il suo martirio con viva commozione ogni anno istituendo un giorno alla sua memoria.
Gli altri tutti in casa, chiusi a consumare quello che è ancora consumabile, ad abituarsi a socializzare solo tramite apparecchi elettronici, ad abituarsi ad avere paura,  ad obbedire ad ogni altra chiamata all'emergenza. I governanti devono coltivare l'obbedienza nelle classi subalterne, esse saranno la carne da cannone dei prossimi  lockdown.

Questa quarantena è un pessimo precedente. Ha dimostrato ai governanti la misura illimitata del loro ascendente sui governati. Ha accelerato in una folle fuga in  avanti le loro possibilità di controllo sui sottoposti. Ha rafforzato ulteriormente il loro potere già in precedenza assodato.
E' un pessimo precedente soprattutto per le classi subalterne. La loro mancata reazione all'arbitrarietà delle decisioni repressive, l'incapacità di instaurare  un'alternativa autonoma alle costrizioni delle istituzioni, sono carenze che si faranno sentire pure nel breve periodo.
Nessuno mette in dubbio il fatto che fosse necessario fermare la diffusione del virus (a mente fredda poi sarà utile discutere su come il virus sia nato e in che brodo  di coltura si sia sviluppato, cioè nella società neoliberista opulenta e inquinata), solo che delegare le decisioni sulla nostra salute a dei governi che hanno fatto tutto il  possibile per limitare il nostro accesso ad essa, sembra un'idea come minimo deleteria.

Al di là della dimensione politica della faccenda, sicuramente preponderante e che influenza tutto il resto, esiste anche una "sovrastruttura" psichica, cioè in che  modo gli individui si rapportano a questa epidemia, e dell'immaginario collettivo che ne viene fuori. L'agire delle persone in questi giorni (pensiamo specificamente a  persone che si considerano perlomeno orientate a "sinistra" e che non stanno battendo ciglio di fronte al dilagare della delazione e ad una sospensione dei diritti  civili che avrebbe fatto invidia a JunioValerio Borghese) - l'agire delle persone sembra condizionato eccessivamente dalla paura di morire, o meglio, dal fatto che la  nostra epoca abbia uno sporadico rapporto con la morte, sicuramente un privilegio dei nostri tempi (e dei nostri luoghi, perchè in altre parti del mondo il rapporto  rimane frequente anche oggigiorno). Ovvio che la paura di morire sia innata nell'essere umano in quanto essere cosciente, ma a questo si aggiunge il fatto che ci  siamo disabituati alle elaborazioni dei lutti. Non siamo pronti a morire (nonostante le teste d'uovo che lo cantano dai balconi), stimiamo troppo importante la nostra  vita in confronto a tutto il resto, che alla fine accettiamo di tutto pur di non morire (basta che sembri efficace); reputiamo "non conveniente" mettere in gioco le  nostre vite per un loro miglioramento qualitativo; ci attacchiamo con le unghie a questo simulacro di vita ogni volta che qualcosa di esterno la minaccia.
Questo potrebbe spiegare in parte anche le difficoltà di radicalizzazione che sta vivendo il movimento di contestazione in Italia negli ultimi vent'anni: c'è un grande  rimosso che non è mai stato veramente elaborato, la morte di Carlo Giuliani e le violenze di Genova 2001, che seguiva altri grandi rimossi, la lotta armata e gli anni  settanta, giù fino alle vendette del dopoguerra. Si potrebbero inquadrare queste difficoltà come disturbi da stress post-traumatico. Ma questi sono altri discorsi.

Perciò, bruciamo fin da subito le illusioni: no, non ci sarà una sollevazione popolare; no, il capitalismo non crollerà. Nonostante tutti promettano di ricordare i torti e  i soprusi venuti fuori durante questa quarantena, quando finirà molti saranno travolti da problemi economici e  psicologici e avranno altri cazzi per la testa. Sarà  invece utile conservare, organizzare ed accrescere quelle situazioni di solidarietà dal basso che si sono create un po' dappertutto, e aprire una discussione seria su  come sviluppare autonomia nei periodi di emergenza, per non farsi cogliere impreparati come questa volta. E' vero, non è la controffensiva in grande stile che tutti  vorremmo, ma al momento i rapporti di forza sono questi, e l'unica maniera che abbiamo per incidere sul reale rimane il lento lavorio quotidiano nell'intessere  relazioni paritarie, rimanendo lucidi e critici. Non sarà una passeggiata.







lunedì 22 gennaio 2018

L'IMBARAZZO DELLA SCELTA


Sgombriamo subito il campo da possibili fraintendimenti: il 4 marzo noi non voteremo alle elezioni politiche, non l'abbiamo mai fatto e non inizieremo certo questa volta, adesso che il teatrino elettorale si sta facendo sempre più squallido. Allo stesso tempo non abbiamo intenzione di convincere nessuno: ormai ci sembra che andare a votare o non andare abbia la stessa valenza, cioè nulla. Per quanto ci riguarda, vogliamo almeno risparmiarci l'imbarazzo di una scelta tra proposte più o meno intercambiabili, al di là della loro minore o maggiore esuberanza e pretesa di novità.
Come di consueto, da qualche anno a questa parte, l'astensione sarà l'opzione preferita da una significativa parte di potenziale elettorato. Per il resto, il sostanziale stallo percentuale tra i tre maggiori contendenti porterà probabilmente alla formazione di un altro governo che non sarà l'espressione del risultato delle urne, ma verrà imposto per motivi di "stabilità" (qualsiasi cosa voglia dire); nei fatti un governo che garantisca la continuazione delle politiche di tagli al welfare e che lasci la libertà di azione al capitalismo finanziario di "privatizzare i profitti" e "socializzare le perdite", con il consueto corollario di repressione del dissenso sotto qualsiasi forma, grazie ai loro "nei secoli fedeli" servi in divisa.
Questa triste campagna elettorale è il riflesso del livello culturale di questo paese, amplificato in negativo da quei social network che, stando ad una vecchia novella a cui tutti per un po' abbiamo creduto, avrebbero invece dovuto elevarlo. Gran parte del dibattito si sta concentrando sui temi della sicurezza e del decoro, perchè elementari da spiegare e percepiti come cose "giuste" (quale persona sana di mente si dichiarerebbe contrario a questi due universali e sacrosanti "diritti"?), ma più che altro perchè è facile architettare una narrazione che riesca ad individuare qualcuno che li stia minacciando e di conseguenza compattare agevolmente un fronte unito contro un nemico comune. E' più semplice fare propaganda contro qualcosa, che proporre un'idea costruttiva. I capri espiatori, poi, sono perfetti, spauracchi atavici e all'occorrenza metafisici senza nessuna rappresentanza politica o interessi economici: i migranti, dei quali non importa niente a nessuno, politicamente parlando e, in generale, i poveri, vaga classe sociale alla quale la maggior parte delle persone si rifiuta di fare parte, anche se nei fatti ci sono dentro fino al collo.
L'altra carta in mano ai candidati, ristretta però all'uso del sedicente centro-sinistra e a strati del M5S, è la discriminante antifascista: "Votate per noi, o consegnerete il paese nelle mani del Male", arma a doppio taglio e sempre usata maldestramente da chi l'ha evocata in passato. Non esiste attualmente un'emergenza fascismo più grave di quanto lo sia sempre stata. Da quando è nato, il fascismo è sempre tornato comodo al potere: all'inizio, negli anni '20, per reprimere le lotte operaie del Biennio Rosso; negli anni '70 è stato funzionale alla strategia della tensione e per affossare le conquiste delle Autonomie; oggi serve a fomentare le guerre tra poveri e tenere diviso il proletariato. Il fascismo ha sempre solleticato gli istinti pelosi della parte repressa di questo paese, ed invocarlo è sempre molto pericoloso: prova ne è, per restare nella nostra zona in tempi recenti, l'odioso episodio che ha visto vittima la sindaca di Empoli, destinataria di una xenofoba e sgrammaticata lettera minatoria (senza per questo dimenticare gli sdoganamenti di cui sono stati artefici in questi anni molti esponenti del suo partito).
Ciò non toglie che i fascisti ci sono ancora e stanno rialzando la cresta, aiutati in questo dal mainstream che sta facendo di tutto per legittimarli politicamente. Ma abbiamo ormai un'esperienza secolare di pratiche per combatterli, non è necessario votare Pd o Cinque Stelle (a questo proposito leggetevi il fumetto di Zerocalcare "Non è una partita a bocce"): per esempio, quando invocano la libertà di parola per vomitare la loro schifosa propaganda, bisogna rendersi conto che loro non hanno nulla da spartire con nessun tipo di libertà, anzi ne sono la negazione, quindi contrastarli in qualsiasi modo è legittimo da parte nostra, anzi è un dovere, e tranquilli, non stiamo contravvenendo a nessun precetto morale o comandamento etico, chi vi dice il contrario è in malafede.
La Resistenza non è finita il 25 aprile 1945: la Resistenza continuerà fino a quando esisteranno i fascisti.

mercoledì 1 marzo 2017

DEPRESSIONE ITALIA

Questo Paese è socialmente malato, di una grave patologia psicotica. Che si sta aggravando ulteriormente, visto che nessuno vuole ammetterlo. Proviamo ad elencare alcuni avvenimenti successi negli ultimi tempi: l'istigazione al suicidio di un sedicenne ad opera di sua madre e della guardia di finanza per dieci grammi di fumo; l'irruzione e la carica della polizia dentro una biblioteca universitaria a Bologna; Bello Figo e la censura nei suoi confronti (della quale nessun voltairiano, quelli del #jesuisetc..., si è degnato di prendere in considerazione); la ridicola polemica sulle palme e i banani di fronte al Duomo di Milano e l'idiota che li ha bruciati; la vigliacca, misogina e razzista rappresaglia fuori dal lidl di Follonica; i discorsi oscurantisti sull'aborto e l'eutanasia, degni del periodo di maggior splendore dell'Inquisizione; l'attacco indiscriminato verso l'UNAR (con la complicità di quegli infami delle Iene) e i "furbetti" della pubblica amministrazione, quando allo stesso tempo non desta scalpore che lo Stato Italiano spenda 23 miliardi l'anno nell'apparato militare e altri 20 miliardi per salvare le banche dei padroni.
Il corpo sociale è completamente preda dell'irrazionalità e dell'isteria, esiste un diffuso complesso di inferiorità nei confronti dei modelli che la morente società capitalista ci ha imposto di seguire. Non c'è un movimento reale che sia in grado di proporre un'alternativa perseguibile a questi modelli e per questo la maggioranza appoggia la repressione e si adegua alla mediocrità. O meglio, esiste un generoso movimento che si oppone allo stato di cose presenti, ma possiede poca influenza, è marginalizzato e non viene riconosciuto da chi dovrebbe farne parte.
I nuovi mezzi di informazione cibernetici hanno fatto il resto, spersonalizzando il confronto e dando il via libera a rancori e rivalse rozzi e ingenui. Il berlusconismo democraticizzato: ogni scemo può dire la sua stronzata senza bisogno di argomentarla, senza responsabilità, senza conseguenze, rinnegandola in qualsiasi momento. Bisognerà iniziare ad ammettere che Facebook e tutta la merda simile ha generato più danni che benefici. I social network hanno inquinato il dibattito pubblico. Non c'è più verso di intraprendere una discussione senza che qualcuno alzi la voce per avere ragione, o dia la colpa di qualsiasi cosa, a seconda delle circostanze, ai politici o agli immigrati. Il discorso si focalizza soltanto sugli effetti, meglio se morbosi e sanguinolenti, glissando completamente sulle cause, cioè il miglior modo per non trovare mai una soluzione ai problemi. Si fa un gran vociare dell'orgoglio italiano, il popolo italiano, prima gli italiani... Ma che cazzo vuol dire?! Di cosa stiamo parlando, che voi italiani non andate d'accordo neanche alle riunioni di condominio!
Il quadro politico è una desolazione senza uscita. L'ultima speranza dei democratici, il movimento cinque stelle, si è mostrata per quello che è sempre stata, un'ipocrita illusione. Il loro cavallo di battaglia, il legalismo, li sta distruggendo, com'era prevedibile. E' stata una pessima mossa assurgere a dogma fondativo una costruzione che è la pietra angolare di quello che si pensava di combattere. La legge non è un principio assoluto, una verità incontrovertibile: è soltanto l'espressione di un determinato potere che in un determinato momento storico possiede la forza di imporre la sua volontà in funzione dei suoi interessi (infatti, per rimanere in Italia, un tempo è stato legale perseguitare gli ebrei, e ad oggi è legale torturare, visto che non esiste una legge che lo vieta).
Sappiamo di chi sono le responsabilità politiche e morali di questa situazione, e dovremmo agire di conseguenza. Quando, in un futuro purtroppo ancora lontano, il capitalismo verrà considerato come un errore della Storia, i nostri discendenti si chiederanno come sia stato possibile ridurre un pianeta ad una pattumiera e costringere i suoi abitanti, che hanno avuto soltanto da rimetterci dalla loro condizione di schiavitù, ad essere complici di un ideale egoista di accumulazione che non ha alcun senso logico. Siamo certi che non troveranno una risposta. 

lunedì 12 dicembre 2016

NON ESISTE UN DOPO-REFERENDUM

E' imbarazzante, in questo Paese, salire sul carro dei vincitori, perchè quel carro è sempre affollato di personaggi sgradevoli che non meritano di starci. Quindi, restiamo con i piedi per terra: quella del no non è, dal nostro punto di vista, una vittoria, è soltanto il raggiungimento di un obiettivo, quello di far cadere un governo che ha emanato le riforme più liberiste e anti-popolari degli ultimi decenni. Il problema di fondo rimane. Non crediamo che i governi a seguire, di qualsiasi forma o colore essi saranno, riusciranno a sottrarsi alla tendenza politica di questa epoca, ossia la progressiva sovrapposizione degli interessi di chi è al potere con quelli dell'economia e della finanza.
Il completo fallimento della democrazia borghese reale si sta trascinando dietro anche la sua organizzazione formale. I commenti che la borghesia illuminata e gli intellettuali organici al sistema di sfruttamento odierno hanno fatto del risultato di questo referendum, sono stati di malcelato rancore e di neanche tanto sottile disprezzo verso gli elettori che hanno votato il no. Costoro si ostinano a non voler recepire il messaggio espresso da questo voto: la loro delegittimazione da parte di una classe in progressivo e irreversibile impoverimento, quando non già povera e disillusa. Il loro attaccamento al potere e la loro miopia analitica ci stanno trascinando verso forme di governo conservative dei privilegi e repressive del dissenso, forme che porteranno ad un ulteriore peggioramento delle condizioni reali di esistenza.
Il cadavere istituzionale dell'unione europea è pervaso al suo interno da germi razzisti e autoritari che sono le scorie più tossiche rilasciate dall'insuccesso delle sue politiche. Sono le vecchie logiche di dominio mai superate, declinate all'era tecnologica e post fattuale. Il razzismo viene usato per non parlare di politica e dei problemi sociali, e per imporre dall'alto misure draconiane ed estemporanee, come se il nocciolo della questione fosse solamente l'immigrazione, e non soprattutto il fatto che la ricchezza si sta ancora e sempre concentrando nelle mani di un'élite ben definita. L'informazione generalista, se da un lato fa finta di preoccuparsi delle derive populiste del vecchio continente, dall'altro propaganda il razzismo con un linguaggio morboso ed intollerante, dando il massimo risalto a episodi sensazionalistici e commenti "di pancia" vomitati dagli ennesimi "utili idioti". Per esempio, Salvini, squallido personaggio sempre in cerca di attenzioni, (sintomo di una sindrome dell'abbandono per la quale farebbe bene a farsi aiutare), e pronto a prendersela contro chi non si può difendere, come un qualsiasi bullo delle medie.
Siamo circondati da situazioni infuocate sulle quali i nostri governanti stanno gettando benzina. Il cambiamento non verrà certo da loro, ma dal basso, dalla nuova organizzazione di un contro-potere, di un argine contro chiunque voglia esercitare una qualsiasi autorità sulle nostre vite, dell'auto-determinazione della classe per il momento subalterna. Non esiste un dopo-referendum: è esistito un passato, dal quale dobbiamo imparare dagli errori e recuperare esperienze costruttive; esiste un presente problematico da affrontare con le armi della critica e ben consapevoli della nostra condizione; esisterà un futuro ancora da decifrare, dipenderà da noi se sarà un piacere farlo o meno.