C’E’ STATO UN’ALTRA VOLTA…
C’è stato un’altra volta, in Italia, un
cortocircuito dei cervelli. Del resto era prevedibile, già il paese in passato
era stato affetto da questa patologia, e la malattia è stata latente per tutto
il novecento. Si manifestò abbastanza velocemente, così che nessuno ebbe il
tempo di rendersene veramente conto. Si insinuò in maniera subdola, dapprima
come paura indefinita trasmessa incessantemente da tutti i mezzi tecnologici
d’informazione, poi come odio concreto verso l’oggetto che provocava questa
paura. Si propagavano voci incontrollate di zingari che rubavano i bambini e
poi li uccidevano, risse tra immigrati ubriachi, spaccio, furti, stupri, il
tutto compiuto da stranieri irriconoscenti; vere o false che fossero, non aveva
molta importanza.
La poca voglia di riflettere partorì
l’idea della pena di morte, ma siccome in periodo di crisi non ci si poteva
permette inutili sprechi di denaro, si optò per una soluzione massiva del
problema: campi di concentramento privati finanziati dal solerte Stato (che
quando si parla di repressione è sempre ben felice di investire i soldi che
sottrae all’istruzione e alla sanità); camere a gas e forni crematori come ai
vecchi tempi. Lo Stato, a sua parziale discolpa, sostenne che almeno così si
davano diversi posti di lavoro e ciò non avrebbe che giovato all’economia. Si
decise di recuperare i siti già esistenti, come la risiera di San Sabba,
Renicci d’Anghiari, Ventotene; più tardi ne vennero costruiti in luoghi
sensibili, come Lampedusa e la Val di Susa (la cui edificazione fu inserita in
un decreto legge contro il femminicidio).
Così la macchina della soluzione finale
si mise in moto con molta discrezione: i primi furono ovviamente gli zingari,
poi i carcerati e gli immigrati che non trovavano posto nel mercato della
schiavitù; poi, per una questione di coerenza, tutti gli altri. Fin da subito
la gente si sentì più sicura, ma non più tranquilla: vagava per i luoghi del
divertimento forzato con un sorriso teso e la mascella serrata; nelle poche ore
durante le quali riusciva a dormire, il sonno era costellato di incubi. Finito
il target dei condannati, la situazione generale non era per niente migliorata:
chi era povero, anche se era italiano, rimase povero e iniziò a prendere il
posto di chi era stato sterminato. In più il personale dei campi entrò in
sciopero contro tagli e cassa integrazione: si dipinsero come pericolosi
sovversivi e divennero i successivi ospiti del loro passato posto di lavoro,
insieme a tutti gli altri che nel paese muovevano simili rivendicazioni. I
pochi superstiti iniziarono allora a vivere nel terrore, chi emigrava verso
l’Africa con i vecchi barconi, non ricevendo una bella accoglienza, chi si
suicidò, chi si costituì spontaneamente nei campi. Rimase solo chi comandava in
Italia, senza più nessuno da comandare, e non sapevano cosa fare. Si
massacrarono l’un l’altro in un reciproco scambio d’accuse, una resa dei conti
finale nel piazzale di una zona industriale vicino Milano.