IL SONNO DI UNA
REGIONE GENERA RENZI
Toscana:
la regione “rossa” per eccellenza, oppure, a seconda dei gusti, “il buco nero
della democrazia”, come la definì qualche anno fa un vecchio protettore di
prostitute. Terra solcata da vanghe millenarie che, oltre al sudore, ha dovuto
assorbire il sangue dei vigliacchi eccidi nazi-fascisti, dai quali nacque una
lotta fiera e orgogliosa, e ben presto tradita. Le case del popolo, le
cooperative, le bestemmie come intercalare. Dalla fine della seconda guerra
mondiale tutti i rapporti economici e sociali si sono retti su compromessi
formali, sia con il capitale che con la chiesa, e di conseguenza con l’organismo
che le riuniva, la democrazia cristiana. Le amministrazioni erano guidate a
grande maggioranza dal PCI, e distillavano politiche sociali quel tanto che
bastava a tenere calma la base ed evitare che si corresse il rischio di
realizzare il comunismo. La domenica il marito andava al bar e la moglie ad
ascoltare il prete, così che il saldo delle anime fosse almeno in pareggio. Le
cose sembravano funzionare e questa situazione si cristallizzò: i bottegai
costruivano villette abusive al mare, il “padrone-compagno” elargiva
tredicesime agli operai, che in questo modo potevano permettersi l’auto e tutti
i comfort del nascente consumismo.
Con
la caduta del Muro e le conseguenti periodiche ristrutturazioni del
capitalismo, il compromesso iniziò a vacillare, scoperchiando tutte le sue
contraddizioni. La sinistra istituzionale, durante tutte le sue involuzioni, è
rimasta al timone del potere locale, ma per sopravvivere è stata costretta a
continue concessioni nei confronti del nuovo assetto economico: in poche
parole, essendo i rapporti di forza favorevoli a quest’ultimo, ha dovuto
mascherare le privatizzazioni e i tagli al welfare come frutti della propria
anima riformista, puntando sulla narrazione di un “liberismo dal volto umano”.
In questo brodo di coltura, con l’opinione pubblica ancora frastornata,
incapace di reagire e tendenzialmente sempre più povera, si sono fatte strada
nella classe dirigente del nuovo partito mutazioni ibride, soluzioni liquide
buone per tutte le stagioni, figure che mantengono i tratti d’onestà e fiducia
tipici di una certa idea di sinistra, unito al pragmatismo delle buone
intenzioni dal sapore democristiano, il tutto condito dalla giusta dose di
paraculaggine ereditata dal miglior berlusconismo. Questo nuovo standard
nazional-popolare, integrandosi con la supposta, proverbiale simpatia dei
toscani, ha generato oltretutto personaggi funzionali ad una determinata
narrazione culturale, che hanno fatto in una certa misura da apripista al
successo del format. Ci riferiamo a starlette del calibro di Carlo Conti,
Pieraccioni, Panariello, Jovanotti, spacciatori inflazionati di sentimenti
plastificati e spensierate risate, ansiolitici ideali a far dimenticare la
pauperizzazione delle nostre esistenze.
Ovviamente
voteremo NO al prossimo referendum. Ma non per esprimere disaccordo su una
legge specifica, salvare la costituzione, o a cosa diavolo serva questo
referendum. D’altra parte, anche le destre e losche figure imprenditoriali
hanno manifestato la loro intenzione di diniego, inserita nelle dinamiche di
lotta per il potere interne alle classi dirigenti, dimensione che non ci
riguarda. La Legge è sempre stata funzionale alla gestione e alla conservazione
dei privilegi delle classi dominanti, lo abbiamo ben chiaro e non abbiamo la
pretesa di cambiarla, ne vogliamo piuttosto la dissoluzione. Il nostro NO
trascende l’apporre una semplice crocetta su un foglio: è la risposta ad una
domanda che chi ci governa ha una gran paura di porci, è la negazione di tutto
un sistema di pensiero basato sullo sfruttamento e la prevaricazione, è l’opposizione
totale, radicale, alle azioni che una minoranza ben armata sta imponendo al
resto dell’umanità. Se poi questo voto servirà a far cadere un governo, tanto
di guadagnato: alimentare il caos, analizzarlo, approfittare delle pieghe che
possono essere favorevoli alla nostra classe, quella proletaria, visto che la
confusione che regna in essa non ne permette un’organizzazione. Si può avere
opinioni differenti su questioni specifiche, ma su una cosa bisognerebbe essere
tutti d’accordo: il capitalismo va distrutto, prima che ci distrugga.
COLLETTIVO
ANTIKUNST